• 19 Maggio 2018

L’età delle medie: missione impossibile?

L’età delle medie: missione impossibile?

L’età delle medie: missione impossibile? 150 150 Karis Foundation Rimini

Si è svolto ieri sera in Comasca il primo appuntamento di “Karis in Festa“, calendario di eventi, saggi e spettacoli organizzati da tutti i livelli scolastici della fondazione Karis, in concomitanza con la chiusura dell’anno scolastico.

Ad inaugurare il calendario, quest’anno, l’incontro organizzato dalle scuole medie Karis W.Spallanzani  “L’età delle medie: missione impossibile?” titolo volutamente provocatorio che la Preside Guastella e il corpo docenti hanno proposto ai genitori come momento di lavoro comune e riflessione sul tema dell’educazione: il periodo della scuola media, il rapporto genitori – figli, il ruolo della scuola sono stati gli argomenti trattati a partire dall’esperienza del vissuto quotidiano.

L’incontro, tenuto da Vittoria Maioli Sanese, psicologa, nonché socia fondatrice delle scuole Karis, ha preso l’avvio da alcune domande nate nel diagolo tra Preside, insegnanti e genitori.

Perché “l’età delle medie: missione impossibile?”

Il tema siamo noi adulti nella relazione con i ragazzi: non esiste, infatti, una ricetta per stare con loro, l’educazione non è un insieme di schemi. Alle medie avviene una metamorfosi: muore un bambino, nasce una nuova persona; in questi tre anni avviene una cosa spettacolare, è come un treno che passa e noi adulti non dobbiamo perderlo! Abbandonate il pregiudizio e chiedete a voi stessi una curiosità totale, perché quello che capita davanti ai vostri ragazzi è qualcosa di totalmente nuovo“.

Incalza subito una nuova domanda decisiva:Come faccio a stare davanti a quella porta chiusa in faccia?
Quella porta chiusa in faccia è l’unica risposta alla tua domanda. Il bambino che tenevi per mano è diventato uno sconosciuto pieno di rabbia, hai un ragazzo che cerca di distruggere il mondo che hai creato per lui, improvvisamente tuo figlio non è più la tua appendice. Cosa devo fare per raggiungere il tuo cuore, figlio mio?
L’ambivalenza del figlio per cui lui è totalmente conosciuto e totalmente sconosciuto, è me ed è altro, questo doppio aspetto dovrebbe essere presente dall’attimo stesso in cui il bambino nasce. Adesso lui dice “Io sono io e non sono te”: questo vi spiazza. Il genitore è colui che lascia andare, colui che rischia. Un bambino che è stato sempre tenuto attaccato a se, inevitabilmente ad un certo punto ci sbatterà la porta in faccia! Cioè, la distanza non la possono mettere solo i figli, la devono mettere anche i genitori. Quando un ragazzo è figlio? È figlio quando è erede. Cioè tutto quello che è il genitore viene trasmesso al figlio e diventa la sua eredità. Il figlio è colui che abbandona il genitore e raccoglie l’eredità”.
Come si fa a fare una proposta interessante ai figli per toglierli dal divano?
“Cercare un rapporto con i figli diventa difficile. Come si fa ad aiutarli a fare una scelta? Il rapporto genitore-figlio non deve essere strumentale all’educazione: il genitore non deve elaborare delle strategie educative, un figlio ha bisogno di un rapporto. Come si fa a toglierlo dal divano? Prova! L’identità genitoriale è la coscienza che tutto quello che io sono lo trasmetto al figlio perché lui sia. A 12 anni è più forte di voi e non riuscite a toglierlo dal divano?
Vedo mio figlio deluso da certi rapporti. Tra amici non si aiutano, ma per le bravate fanno subito gruppo. Come posso aiutarlo, correggerlo senza che lui si senta giudicato?
“Il rapporto genitore/ figli è un rapporto generativo, non curativo; non suggeritivo dunque, ma generativo di personalità, di carattere. Noi siamo costituiti relazione e quello che passa è cosa tu sei per me: toglietevi dal rapporto di cura, dal rapporto strumentale… è quello che voi siete che genera! La caratteristica del genitore non è mettersi al servizio, ma decidere: il figlio non è pari al babbo e alla mamma, lui per crescere ascolta il babbo e la mamma.
I figli hanno necessità di essere guidati, devono avere davanti adulti che decidono con certezza.
Io sono mamma e insegnante e a volte mi accorgo che i genitori rivestono un ruolo educativo nel senso scolastico del termine, e quindi a noi insegnanti è chiesto una relazione con i ragazzi che sia genitoriale. Come ci si deve comportare?”
C’è un punto di unità tra i genitori e insegnanti: la passione per questi ragazzi. Questo deve diventare aiuto reciproco, credito reciproco, fiducia, passione verso la loro vita, la loro crescita, interpretato da genitori e insegnanti in due modi molto diversi. Il genitore infatti educa, ma non è educatore: la sua identità è generativa, non educativa. Tutto quello che rimarrà ai figli, una volta grandi, è il senso che voi avete dato alle cose, il senso di sé e il senso della vita. Il genitore è una proposta formidabile. Infatti, nell’adolescenza il ragazzo ‘farà a pezzetti’ il genitore, sceglierà e conserverà quello che  gli serve e getterà il resto.
Nella scuola, che è l’ambito immediatamente vicino al ragazzo e alla famiglia, l’insegnante invece educa attraverso degli strumenti specifici: didattica, iniziative, ecc…, rispondendo ai bisogni dei ragazzi. La proposta che viene dall’educatore deve essere la stessa proposta di bene sul ragazzo, avendo lo stesso sguardo di valore, di stima, di dignità e di bellezza che ha un genitore nei confronti dei figli. Al contrario, oggi l’offerta del mondo esterno e delle società in generale deforma lo sguardo tra la famiglia e la scuola: arrivano a scuola bambini incapaci di ascoltare, preoccupati di una prestazione e incapaci di gestire frustrazioni. Arrivano ragazzi curati, educati, ma non arrivano figli; così l’insegnante finisce per concepirsi un po’ genitore. Ognuno di noi, quindi, deve prendere in mano la propria identità: i genitori devono appassionarsi ad essere madri e padri,  gli insegnanti appassionarsi ad essere insegnanti”.

A fine incontro, dopo domande, dialoghi serrati, c’è così, in sintesi, un punto di unità tra genitori e insegnanti:  la passione per questi ragazzi. La proposta che viene dall’educatore porta lo stesso desiderio di bene sul ragazzo, lo stesso sguardo di valore, di stima, di dignità e di bellezza che ha un genitore nei confronti dei figli.